“E IO?” – DISSE IL FRATELLO. Il bambino sottoposto a TCSE: ma al fratello chi ci pensa?

Premessa: la letteratura inglese identifica nel termine “sibling” il fratello/sorella di un bambino affetto da disabilità e quindi, per estensione, malattia.

Effettuando una ricerca bibliografica libera su PubMed, incrociando i termini “sibling” e“bone marrow transplantation” si nota subito come il mondo scientifico si approcci primariamente al “fratello del bambino malato” in questo contesto clinico: il sibling, infatti, è per lo più “colui che donerà le cellule staminali emopoietiche” e viene studiato per le sue caratteristiche biologiche e molecolari. Tuttavia, non va dimenticato che il Trapianto di Cellule Staminali Emopoietiche (TCSE) è un trattamento intensivo che richiede lunghi ricoveri ospedalieri per il bambino malato ed almeno un caregiver, solitamente un genitore. Ciò espone il sibling a tutti i rischi tipici di fratelli di bambini affetti da malattie croniche (tra cui si annovera anche la patologia tumorale): soprattutto i fratelli non donatori sperimentano senso di isolamento e solitudine, ridotta autostima, problemi scolastici, distress psico-sociale, ridotto sviluppo cognitivo. Spesso, però, nella pratica clinica, ce ne si dimentica. L’American Academy for Pediatrics ha pubblicato delle raccomandazioni apposite, rivolte alla presa in carico dell’intero nucleo famigliare (2012).

Questo studio vuole identificare le strategie che famiglie e professionisti sanitari possono mettere in atto per supportare i fratelli dei bambini sottoposti a TCSE.

Si tratta di uno studio multicentrico, svolto in 4 siti nord-americani, che ha previsto l’intervista di 26 famiglie, quattro volte nell’arco di 1 anno dal TCSE del proprio bambino. Criterio di inclusione era che nella famiglia vi fosse almeno un sibling di età compresa tra i 9 e i 22 anni.

La prima fase dello studio ha eseguito una analisi semantica secondaria delle interviste qualitative sottoposte ai genitori, concentrandosi sulla seconda intervista (di quattro) ovvero quella svolta a 5-9 mesi dal trapianto. E’ stata utilizzata una guida per intervista semi-strutturata appositamente sviluppata (le tematiche indagate sono illustrate in Tabella 1). Nella fase successiva, per arricchire l’analisi secondaria svolta, sono state arruolate altre 6 famiglie: a tutti i membri (nonni, genitori, paziente, fratelli) è stato chiesto di identificare le problematiche presentate dal sibling e quali strategie fossero state messe in atto. Anche in questo caso, la guida per intervista semi-strutturata è stata sviluppata ad hoc (Tabella 1). La terza ed ultima fase dello studio ha coinvolto 27 professionisti sanitari, di cui il 56% ha accettato di partecipare allo studio (Tabella 1).

Tabella 1: dettaglio delle interviste svolte nelle tre Fasi dello studio

 

Intervista rivolta a:

Temi trattati

FASE 1

Genitori

Eventuali carenze informative da parte del team sanitario; reazioni e strategie attuate dai singoli membri della famiglia; criticità maggiori del percorso trapiantologico vissute dai singoli membri della famiglia.

FASE 2

Nucleo familiare esteso

Modalità di coinvolgimento del sibling nel percorso terapeutico del fratello malato; eventuali modalità per rendere il sibling consapevole e pronto ad affrontare il percorso stesso; cosa, della famiglia, è stato d’aiuto al sibling; elenco delle cose che sono state percepite come supporto durante il percorso trapiantologico (domanda dedicata ai siblings).

FASE 3

Professionisti sanitari

Strategie per supportare il sibling

Trattandosi di una ricerca qualitativa, le interviste sono state analizzate e “codificate” usando una analisi semantica multilevel. Sono state anche considerate le frequenze con cui i temi ricorrenti emergevano. L’analisi è stata condotta da 3 ricercatrici separatamente ma allo stesso tempo.

In totale sono stati intervistati 109 familiari di bambino sottoposto a TCSE e 15 professionisti sanitari.

Sono state estrapolate le principali difficoltà che i siblings si trovano ad affrontare, nel contesto di un fratello sottoposto a TCSE: 1) dover affrontare emozioni difficili; 2) sperimentare sentimenti di separazione dal proprio fratello malato e dai genitori; 3) essere caricato di maggiori responsabilità; 4) non ricevere informazioni sul percorso di cura e sulle condizioni del proprio fratello (punto risultato più critico secondo il punto di vista dei bambini intervistati rispetto agli adulti); 5) essere escluso dalla “lotta che la famiglia conduce contro la malattia tumorale”.

Identificate le principali problematiche che il sibling deve affrontare, gli autori hanno individuato le strategie correttive e/o preventive messe in atto:

  • condividere le informazioni: per far sentire il sibling partecipe ed informato, è necessario informalo delle condizioni del proprio fratello e di come sta andando il percorso del TCSE. Ovviamente “come” informare il sibling è strettamente dipendente dalla sua età e dal grado di comprensione: il 31% delle famiglie intervistate utilizza comunicazione virtuale (videochiamate, SMS e messaggistica rapida). Modalità per coinvolgere il sibling è anche quella di portarlo in ospedale. Un papà ha riportato come, in quel momento, tutta la famiglia si sia trovata nello stesso luogo e questo li abbia fatti sentire ancora più forti come entità unica.
  • ricevere supporto sociale “dall’esterno”: è molto utile ricevere aiuto da chi è attorno alla famiglia, siano essi amici o parenti. L’aiuto si concretizza in aspetti molto pratici: passaggi in auto, preparazione di pasti, Questo aspetto è anche particolarmente apprezzato dai siblings che vivono alcune di queste situazioni come eccezionali, “di vizio” e quindi positive.
  • dare al sibling un ruolo specifico/speciale: il fratello deve sentirsi valorizzato e sostenuto nelle sue responsabilità. Le famiglie hanno spesso incaricato il bambino di curare l’animale domestico, o fratelli più piccoli a casa, di occuparsi di piccole faccende domestiche, di scrivere biglietti/cartoline al fratello in ospedale. Questo pare faccia sentire il sibling “importante”. Attenzione! Questa strategia, però, rischia di aumentare preoccupazioni e paure nel sibling perché può essere percepito un aumento eccessivo del carico di responsabilità. Molto dipende dalla personalità e dal carattere del
  • alternanza del genitore in ospedale: solo il 28% delle famiglie intervistate aveva previsto una turnazione regolare dei genitori in ospedale, al fine di garantire a tutti i figli la propria presenza. Infatti, uno dei fratelli, intervistato, ha raccontato del disagio legato al fatto che il contatto con la mamma era unicamente telefonico, seppure per più volte al giorno. Questa strategia è stata tra le più suggerite dal personale sanitario, ma scarsamente identificata dai genitori. Questo dimostra che spesso le famiglie non mettono in atto quanto consigliato dal team sanitario ma le loro motivazioni logistiche sono significative: distanza casa-ospedale, necessità di organizzare diversi impegni nel tempo “al di fuori dell’ospedale”
  • dare regolarità alla vita del sibling: particolarmente importante è garantire una routine al sibling, ed eventualmente fornirgli supporti specifici (counselor scolastico, sostegno psicologico fornito dal centro di cura del fratello).

È difficile generalizzare raccomandazioni relative a funzionamenti familiari, ovvero di entità uniche, dinamiche ed in cui è talvolta difficile inserirsi ed intervenire. Tuttavia, è fondamentale tenere a mente questo tema e non trascurarlo: spesso anche i professionisti sanitari si concentrano sul bambino ricoverato e non ritengono di dover/poter prendere in carico gli altri bambini/ragazzi presenti in famiglia, che si trovano ad affrontare situazioni difficili, incerte, con strumenti e risorse personali talvolta necessariamente limitate. Bisogna invece cercare di diventare squadra con la famiglia, ed entrare nell’ intimità e nel funzionamento di ciascuna, con rispetto e professionalità, per dare supporto, consigli e strumenti.

Da non dimenticare, infine, la valutazione delle risorse economico-sociali e della rete amicale e familiare che ogni paziente e nucleo familiare hanno a disposizione: ciò è cruciale per impostare un supporto duraturo ed efficace.