Provaci ancora, Sam!

Parafrasando il celebre film di Woody Allen e passando dal tema del secondo partner   a quello altrettanto complesso di un secondo trapianto allogenico in caso di ricaduta dopo il primo trapianto, i ricercatori di Baltimora riportano la fattibilità di una seconda procedura anche da donatore aploidentico e il migliore outcome nel caso che il secondo donatore presenti un aplotipo diverso rispetto a quello condiviso dal primo donatore.

Imus PH et al, Biol Blood Marrow Transplantat 2017, epub ahead to print

In caso di ricaduta dopo un primo trapianto allogenico , si possono somministrare i linfociti del donatore (DLI) o eseguire un secondo trapianto allogenico. La tossicità del precedente condizionamento, infezioni, una malattia ematologica biologicamente più aggressiva e la presenza di GVHD sono tutti fattori che possono limitare l’eleggibilità di un paziente ad un secondo trapianto. Tuttavia , in alcuni limitate casistiche di secondi trapianti allogenici è stato riportato un controllo di malattia a lungo termine in un quarto dei pazienti e finora non è mai stato evidenziato un vantaggio se il trapianto utilizzava un donatore diverso, in genere un nuovo donatore da registro o un altro fratello HLA-identico. I ricercatori di Baltimora hanno ipotizzato che l’HLA possa avere un importante ruolo anti-leucemico, come è suggerito dalla perdita dell’aplotipo dimostrata in alcuni casi di leucemia mieloide acuta ricaduta dopo trapianto allogenico aploidentico (Vago L et al, N Engl J Med 2009) e di conseguenza negli ultimi 10 anni hanno eseguito un secondo trapianto nei pazienti eleggibili, utilizzando un donatore con un aplotipo diverso rispetto al primo donatore. In questo studio analizzano in modo retrospettivo la loto esperienza.

Sono riportati i risultati clinici di 40 secondi trapianti allogenici eseguiti per una malattia ematologica ricaduta dopo il primo trapianto. Il donatore era un familiare aploidentico in 28 casi, cordone ombelicale in 2 casi, da registro con 1-2 HLA mismatch in 10 casi. Solo in 4 casi il donatore ero lo stesso del primo trapianto. La maggior parte del pazienti ha eseguito un condizionamento di tipo nonmieloablativo con Fludarabina, Ciclofosfamide, TBI 2 Gy e ha ricevuto la ciclofosfamide post-trapianto. La sopravvivenza globale e libera da malattia sono del 40% e del 36% rispettivamente a 4 anni dal trapianto. L’incidenza DI GVHD acuta e cronica non sono superiori al 20% e non sembrano aumentare rispetto a quello che si osserva nei primi trapianti. Si conferma che una ricaduta entro 6 mesi dal primo trapianto e una malattia refrattaria prima del secondo trapianto sono fattori che predicono un outcome sfavorevole del secondo trapianto. La novità dello studio è osservare una sopravvivenza più prolungata ( mediana OS e PFS non raggiunta a 2 anni di follow-up) nei secondi trapianti allogenici che utilizzano un secondo donatore che presenta un aplotipo diverso rispetto a quello condiviso dal primo donatore .

 

Per essere più chiari, gli autori di questo studio suggeriscono che se il ricevente è AC e il primo trapianto viene eseguito con un donatore AD ( aplotipo condiviso A), il secondo trapianto dovrebbe essere eseguito con un donatore che condivide l’ aplotipo C, ( quindi secondo donatore CB o CD) ipotizzando che cambiare l’aplotipo possa suscitare una reazione immunologica “graft versus leukemia” più efficiente. Malgrado che lo studio sia retrospettivo e la casistica limitata, i risultati clinici riportati e l’ipotesi biologica sottostante sono un presupposto per considerare un secondo trapianto allogenico aploidentico in quei pazienti (sicuramente rari ma presenti anche nei nostri Centri Trapianto! ) che ricadono dopo almeno 6 mesi dal primo trapianto, ottengono una nuova remissione con la terapia di salvataggio, mantengono un buon Performace Status e non hanno infezioni severe. In questi casi la scelta di un secondo donatore aplodentico che condivide un aplotipo diverso rispetto al primo donatore può rappresentare un’opportunità .