Nell’occhio della tempesta (citochinica). È possibile predire la “cytokine release syndrome” dopo terapia con linfociti CAR-T?

Dei linfociti CAR-T, ovvero di linfociti T geneticamente modificati per esprimere un recettore antigene-specifico chimerico (CAR), abbiamo già detto in un post precedente. Come abbiamo detto della loro straordinaria efficacia. Ora affrontiamo il problema della tossicità.

Teachey DT, et al. Cancer Discov. 2016 Apr 13

Nella quasi totalità dei pazienti finora trattati con questa modalità in piccoli studi di fase I/II negli USA (ricordiamo, pazienti affetti da leucemia linfatica cronica, leucemia linfoblastica acuta e linfoma non-Hodgkin) si sviluppa una complicanza grave e potenzialmente fatale, la cosiddetta cytokine release syndrome, una tempesta citochina secondaria alla massiva attivazione immunitaria indotta dai linfociti CAR-T.

In questo lavoro, sempre del gruppo dell’Università della Pennsylvania diretto da Stephen Grupp, si è effettuata un’analisi retrospettiva per identificare dei biomarcatori potenzialmente predittivi di questa grave complicanza.

Sono stati analizzati in tutto 51 pazienti affetti da leucemia linfoblastica acuta e trattati con linfociti CAR-T specifici, di cui 48 (94%) hanno sviluppato una cytokine release syndrome. Questa è stata di grado 4-5 in 14 (27%), richiedendo ventilazione assistita e sostegno del circolo con amine vasoattive. In maniera molto interessante, i comuni biomarcatori comunemente descritti essere associati a questa complicanza (proteina C reattiva, ferritina, AST, ALT, LDH) si sono dimostrati completamente inutili nella sua predizione, cioè si sono “mossi” solo dopo, o in concomitanza, allo sviluppo dei gravi sintomi clinici.

Dall’analisi retrospettiva, che ha tenuto conto del dosaggio sierico quotidiano di 18 diverse citochine, è emerso invece che la combinazione di tre di queste, IFN-gamma, IL-6 e, sorprendentemente, il recettore solubile dell’IL-6, ha un potere predittivo ottimale. Un'altra osservazione interessante, è che il pattern citochinico tipico della cytokine release syndrome è del tutto sovrapponibile a quello osservato nella linfoistiocitosi emofagocitica (o macrophage activation syndrome idiopatica), una malattia associata a mutazioni del gene della perforina e caratterizzata da attivazione incontrollata delle cellule dell’immunità innata.

Queste osservazioni aprono ovviamente nuovi scenari nell’interpretazione della patogenesi di questa complicanza della terapia con linfociti CAR-T, come ad esempio il ruolo attivo del recettore solubile dell’IL-6 nella “trans-presentazione” della citochina, così come nell’identificazione di strategie terapeutiche sempre più efficaci.

Come sempre in questi casi, per ora non cambia nulla nella pratica clinica. Ma i linfociti CAR-T saranno presto una realtà terapeutica, se non di vasto utilizzo, almeno di utilizzo in centri specializzati in trapianto di midollo e terapia cellulare, come lo sono molti in Italia. È utile quindi che ci si attrezzi fin da ora a mettere a punto metodiche di laboratorio per il dosaggio razionale delle citochine identificate da questo studio. Ne va dell’appetibilità dei centri italiani rispetto ai numerosi studi con linfociti CAR-T che si stanno attualmente lanciando in Europa.