Inibitori di BTK e cellule CAR-T: una combinazione vincente nella CLL?

Linfociti T geneticamente modificati per esprimere un recettore antigene-specifico chimerico (CAR) si sono dimostrati straordinariamente efficaci in piccoli studi di fase I/II in neoplasie ematologiche che esprimono il target CD19 (CLL, ALL).

Fraietta JA, et al. Blood. 2016 Mar 3;127(9):1117-27

In linea di massima, le migliori risposte si sono avute nei pazienti in cui vi è stata una maggiore espansione in vivo dei linfociti CAR-T. Molti sono i fattori che possono limitare quest’espansione. Alcuni sono intrinseci al prodotto cellulare (tipo di costrutto, protocollo di generazione ex vivo), altri sono invece paziente-dipendenti (tipo e carico di malattia, stato immunitario del paziente).

L’ibrutinib è un inibitore di BTK, recentemente approvato per la terapia della CLL. Aldilà del suo effetto diretto antitumorale, l’ibrutinib possiede attività immunomodulatorie ancora poco esplorate.

In questo studio, il gruppo dell’Università della Pennsylvania a Philadelphia, riporta i risultati clinici in alcuni pazienti affetti da CLL trattati con linfociti CAR-T ed ibrutinib.

Queste sono osservazioni clinico-biologiche in 3 pazienti affetti da CLL recidivata o refrattaria trattati con linfociti CAR-T autologhi specifici per CD19 (CTL019) in un protocollo di fase II, nei quali le cellule erano state generate durante o poco dopo trattamento prolungato (almeno 5 cicli) con ibrutinib e comunque in progressione.

Nel complesso, sono stati considerati 30 pazienti con le seguenti risposte: 16 NR, 7 PR e 7 CR. È interessante notare come nei 3 pazienti trattati con ibrutinib (2 PR, 1 CR), l’espansione dei linfociti CAR-T in vivo è stata significativamente maggiore (P<0,05) che nei pazienti NR ed associata ad una minore espressione di PD1, una molecola ad attività inibitoria sulla proliferazione e sulla funzionalità dei linfociti T.

Gli autori riportano inoltre una minore espressione della molecola immunosoppressiva CD200 sulle cellule di CLL isolate da pazienti trattati in maniera prolungata con ibrutinib, suggerendo che gli effetti immunomodulatori del farmaco non siano limitati ai linfociti T, ma anche alle cellule tumorali stesse, che diventerebbero più suscettibili all’immunoterapia adottiva. Nel lavoro, queste osservazioni correlative, sono supportate da studi meccanicistici in vivo e in modelli di CLL umana in topo immunocompromesso.

A breve termine, non cambia nulla. A medio termine (l’approvazione del prodotto CTL019 nella CLL è prevista da Novartis per il 2020), invece, è probabile che il trattamento concomitante o sequenziale con linfociti CAR-T e ibrutinib possa diventare una combinazione vincente per eradicare la malattia leucemica anche nei casi più resistenti ai trattamenti convenzionali.