Trapianto allogenico domiciliare per fare spazio alle Car-T?

Mentre il trapianto autologo a domicilio sembra avere un non so che di consolidato, il trapianto allogenico domiciliare è coltivato da pochissimi centri. I colleghi di Barcellona tentano in questo lavoro di illustrarci i vantaggi diretti e indiretti di questa pratica, che ha consentito un discreto incremento dell'attivita' trapiantologica

Gutiérrez-García G et al : A reproducible and safe at-home allogeneic haematopoietic cell transplant program: first experience in Central and Southern Europe. Bone Marrow Transplant. 2020 Jan 13. doi: 10.1038/s41409-019-0768

Si tratta di uno studio di confronto monocentrico (Barcellona)  e  retrospettivo fra 41 pazienti sottoposti a trapianto di cellule staminali ematopoietiche domiciliari e 31 pazienti con caratteristiche cliniche simili trapiantati in corsia , sempre a Barcellona, nello stesso spazio temporale (2015-2018).

I criteri per accedere al trapianto domiciliare prevedevano un buon performance status, domicilio entro 1 ora di viaggio dall'ospedale , caregiver presente h24 e consenso informato. L' unico criterio di esclusione una anamnesi positiva per alloimmunizzazione piastrinica con refrattarieta' alle trasfusioni.

Il trapianto domiciliare è stato del tipo dimissione precoce (il giorno successivo alla reinfusione delle cellule staminali o all'ultima infusione di CTX post), con degenza domiciliare in camera singola attuando le misure dell'isolamento protettivo.

Interessante l'organizzazione della unita' di trapianto trapianto domiciliare: 7 infermieri professionali , disponibili dalle 8 del mattino alle 22, 7 giorni/7 e 1 medico ematologo , disponibile 8 ore al giorno per 5 giorni alla settimana (con copertura di tutte le ore scoperta da parte dell'ematologo di guardia in corsia), sufficienti a gestire 2 trapianti domiciliari contemporanei.  La routine giornaliera prevedeva un contatto telefonico con il paziente da parte dell'infermiere che successivamente si sarebbe recato al domicilio del paziente,  rimanendovi per  2-3 ore (registrazione parametri, valutazione di evntuale mucosite, quantificazione dell'apporto di cibo, medicazione del CVC ,somministrazione di terapia ev -idratazione, eventuali dosi di MTX ed eventuali antibiotici- ed esecuzione dei prelievi ematici) , 2 riunioni (in ospedale) fra infermieri ed ematologo, eventuale seconda visita/contatto telefonico pomeridiano sempre da parte infermieristica. In caso di  di eventi avversi, il paziente si sarebbe recato in ospedale per una visita medica con l'ematologo di riferimento e l'impostazione di eventuali esami radiologici, colturali etc. Oltre alle comuni profilassi per Pneumocystis ed HSV/VZV, veniva somministrato cetriaxone 1 g/die fino alla comparsa di febbre o risoluzione della neutropenia, sostituito da ertapenem 1 g/die nei pazienti aploidentici sottospoti a CTX post. Come profilassi antifungina anfotericina B inalata nei primi 27 pazienti, sostituita poi da posaconazolo nei restanti pazienti. Degno di nota il fatto che una eventuale neutropenia febbrile venisse trattata a domicilio e che venisse prescritta una passeggiata al giorno con mascherina protettiva FFP3

Sono stati arruolati nella coorte del trapianto domiciliare 14/41 trapianti da sibling, 26 da donatore MUD (matched e mismismatched) e 1 aploidentico. L'eta' mediana è stata di 53 anni (45-53).  Il regime di condizionamento piu' utilizzato è stato busulfano e fludarabina in 35/41 casi, ed è stato mieloablativo in 19/41 pazienti. Il regime di immunosoppressione è stato basato su tacrolimus e micofenolato in 26/41 pazienti e Ciclofosfamide post+tacrolimus in 13/32. 16/43 pazienti presentavano un  indice di Sorror superiore o uguale a 3  

I risultati sono stati molto interessanti: solo 3 riamissioni in corsia prima dell'attecchimento, nessun decesso a domicilio. Da notare come le febbri neutropeniche si siano significativamente ridotte rispetto al gruppo di controllo ( 32% vs 90% P <0,0001), come gli isolamenti colturali (17 vs 39% p 0.03). Nessuna differenza in tutte le altrie variabili considerate (infezioni fungine, riattivazioni di CMV, mucositi , IRA, quota di riammissioni in corsia nei primi 100 giorni post trapianto, tempi di attecchimento e di dimissione). Un discorso a parte l'incidenza di GvHD acuta severa (grado 3-4) notevolmente ridotta nel trapianto domiciliare (10% vesro 29%, p= 0.03). Nessuna differenza nella cGVHd (63% a due anni) , nella TRM a 3-6-12 mesi (8-14-23%) e nella  recidiva.

Significativa la differenza di costi fra la coorte domiciliare e quella ricoverata (€ 70801  vs 79888, p=0.01), principalmente dovuti ai ridotti costi di ospedalizzazione , nonostante il trapianto domiciliare abbia presentato un significativo incremento di costi legati alla profilassi antifungina.

L'osservazione forse piu' significativa è quella relativa alla minore occupazione di posti di degenza, che ha consentito al centro di implementare di 10.5 trapianti/anno la sua attivita'e di iniziare l'attivita' di un programma di cellule CART-T.

La carenza di posti letto nei nostri centri trapianto e l'affacciarsi dei programmi CAR-T impone una oculata gestione delle risorse. Questa esperienza, pur nella sua particolarita', potrebbe essere di stimolo. Certo mi sarebbe piaciuto valutare il gradimento della procedura da parte dei pazienti con un parte dedicata alla qualita' di vita, in modo da intercettare le difficolta' presentate da un simile approccio, ma potremmo essere solo all'inizio.....