Esperienze e bisogni dei familiari donatori di CSE

Un interessante studio realizzato in Australia si è posto l’obiettivo di approfondire gli aspetti psicosociali della
donazione di CSE da parte dei membri della famiglia, concentrandosi in particolare sui loro bisogni di informazioni e di cure di supporto.

Nienke Zomerdijk et Al, Experiences and unmet needs of family members requested to donate haematopoietic stem cells to an ill relative: findings from a prospective multi-centre study, Supportive Care in Cancer volume 29, pages635–644(2021)

Negli ultimi anni, oltre al crescente interesse verso gli aspetti psicologici dei pazienti  sottoposti a TCSE allogenico, sta emergendo una maggiore attenzione nei riguardi dei familiari donatori, in particolare con il progressivo incremento dei TCSE Aploidentici. Spesso, l’urgenza e la ineluttabilità dell’avvio del processo trapiantologico, pone in secondo piano aspetti etici, comunicativi, psicologici e clinici dei familiari candidati alla donazione di CSE.  In Italia, il Centro Nazionale Trapianti (CNT) e il Registro Donatori Midollo Osseo (IBMDR) a più riprese hanno ribadito la necessità di implementare la tutela e una presa in carico globale dei donatori.
Un interessante studio realizzato in Australia, seppur con i limiti di un campione poco numeroso, si è posto l’obiettivo di approfondire gli aspetti psicosociali della donazione di CSE da parte dei membri della famiglia, concentrandosi in particolare sui loro bisogni di informazioni e di cure di supporto. Trentuno donatori di CSE familiari adulti di due ospedali clinici sono stati intervistati prima, durante e un mese dopo la donazione. Le interviste hanno esplorato l'ambivalenza, la motivazione, la pressione percepita, la preparazione, la relazione donatore-ricevente, le informazioni e il supporto ricevuti e i diversi suggerimenti proposti per il miglioramento del processo di cura.

  1. Sono stati identificati tre temi principali sull'esperienza di donazione:
        1. “chiamata alle armi”: la comunicazione di fatto è focalizzata sulle esigenze del paziente ricevente, c’è una forte pressione rispetto a decidere ed agire in tempi brevi, il senso stesso della donazione risente di una ambivalenza decisionale; si garantisce la massima libertà di scelta ma con una forte ricaduta etica

        2. “procedura di donazione”: i donatori hanno riportato di vivere una sorta di limbo, si percepisce un senso di inquitudine sull’esito della procedura, il dolore seppure trattato è comunque persistente, pervasivo, necessità di sentirsi comunque supportati

        3. "dopo che la polvere si è depositata": nella fase post-donazione i familiari hanno vissuto la dimensione di “sentirsi scartati”; il proprio ruolo è apparso sempre più marginale, con scarsa considerazione dei sintomi residui accompagnata da una intensa condivisione degli esiti avversi del paziente ricevente. Riguardo gli aspetti più strettamente clinici ed organizzativi veniva richiesto un follow-up più prolungato. Le maggiori difficoltà di comunicazione riguardavano il tempo previsto per maturare la decisione, la gestione della riservatezza, l'inadeguatezza delle informazioni e l'accesso al supporto psicologico. I donatori desideravano ricevere maggiori informazioni e supporto soprattutto sulle ricadute emotive specifiche dell'essere un donatore familiare.
    Inoltre è emersa la priorità di garantire una migliore assistenza psicologica in caso di decesso del familiare ricevente.

I risultati sottolineano una lacuna nelle informazioni e nelle cure di supporto per i donatori familiari e la necessità di un protocollo specificamente progettato per informare e supportare i donatori familiari prima, durante e dopo la donazione di CSE. E’ indispensabile implementare le attività di audit per verificare l’efficacia di tutte le attività a tutela dei familiari donatori, sia in termini di sicurezza delle cure sia di attenzione agli aspetti psicologici.