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L’isolamento protettivo è ancora oggi una misura dibattuta in letteratura perché sostenuta da deboli evidenze scientifiche, ma assolutamente diffusa, anche se variamente applicata, nella pratica clinica. Da qui l’idea di commentare un interessante articolo Italiano di recente pubblicazione, che si conclude con raccomandazioni applicabili anche nelle nostre realtà.

Annibali O, Pensieri C, Tomarchio V, Biagioli V, Pennacchini M, Tendas A, Tambone V, Tirindelli MC. Protective Isolation for Patients with Haematological Malignancies: A Pilot Study Investigating Patients' Distress and Use of Time. Int J Hematol Oncol Stem Cell Res. 2017 Oct 1;11(4):313-318.

L’isolamento protettivo è considerato una precauzione necessaria per prevenire le infezioni nei pazienti onco-ematologici che effettuano un trapianto di midollo osseo o di cellule staminali ematopoietiche. Nonostante l’isolamento protettivo abbia lo scopo di tutelare la salute dei pazienti, a volte può portare un peggioramento della qualità di vita degli assistiti, che possono soffrire a causa del limitato contatto col mondo esterno e con i loro cari. Inoltre, i pazienti in isolamento protettivo in camere a bassa carica microbica hanno un rischio aumentato di soffrire di solitudine, depressione, ansia, confusione mentale, senso di esclusione che a volte può esacerbarsi in episodi di violenza contro se stessi o il personale. Ancora oggi l’isolamento protettivo non è supportato da evidenze forti in letteratura, perciò ogni centro agisce in modi differenti. Da qui l’idea di commentare un interessante articolo italiano di recente pubblicazione, che si conclude con raccomandazioni applicabili anche nelle nostre realtà, con simili background socio-culturali.

L’ obiettivo dello studio prospettico pilota preso in esame è quello di valutare il livello di distress correlato all’isolamento ed analizzare in quale modo i pazienti in isolamento spendono il proprio tempo durante il ricovero.

Il campionamento dei 18 pazienti sottoposti a TCSE arruolati nello studio è avvenuto per convenienza, i pazienti hanno aderito allo studio attraverso un consenso informato in forma scritta. La durata del ricovero variava da 17 a 122 giorni. La maggior parte dei pazienti (72,2%) ha ricevuto visite dai parenti ogni giorno durante il periodo di degenza, mentre 4 pazienti (22,2%) hanno ricevuto 2-3 visite a settimana e 1 paziente (5,6%) ha ricevuto solo una visita a settimana. Solo 6 pazienti su 18 (33%), non in isolamento protettivo, hanno segnalato visite da amici o parenti. I partecipanti hanno riportato un livello medio di sofferenza correlata all'isolamento, indicando un disagio moderato. Il livello di ansia dei pazienti arruolati nello studio, misurato attraverso un singolo elemento. Anche il loro livello di noia, misurato attraverso un singolo elemento, risultava moderato. I sentimenti legati all’isolamento dei pazienti coinvolti nello studio, in termini di frequenza, sono stati così descritti:

  • Disagio: mai nel 38,9% e raramente 22,2% dei pazienti coinvolti
  • Noia: riferita dal 61,1% dei pazienti, di cui 11,1% si lamentava di essere sempre annoiati ed il 50% di essere spesso annoiati.
  • Felicità: mai nel 44,4% e raramente nel 33,3% dei pazienti coinvolti
  • Calma: circa la metà del campione (44,4%) ha riferito di sentirsi spesso (33,3%) o sempre (11,1%) calma
  • Rabbia: sentimento riferito da pochi pazienti (27,8%); la maggior parte di loro (67,7%) ha riferito che raramente si è arrabbiata (il 16,7%) o addirittura mai (il 50%)
  • Ansia: 8 pazienti su 18 di quelli coinvolti hanno presentato sempre (16,7%) o spesso (27,8%) ansia; 10 pazienti su 18 invece hanno riferito di sentirsi raramente (22,2%) o mai ansiosi (33,3%).

Per quanto riguarda la percezione e l'impiego del tempo durante l'isolamento, solo pochi pazienti hanno riferito di aver trascorso il loro tempo a dormire (n = 2/18; 11,1%) o a riposo (n = 3/18; 16,7%). Molti pazienti hanno risposto che avevano qualcosa da fare in generale (n = 7/18, 38,9%). Sfortunatamente, metà del campione (n = 9/18; 50%) ha riferito di pensare in modo pessimistico sul loro futuro e sulla loro salute. D'altra parte, molti pazienti (n = 11/18, 61,1%) hanno riferito di aver passato il loro tempo a pensare alle loro vite e ai loro obiettivi futuri durante l'isolamento. Inoltre, un numero elevato di pazienti (n = 10; 55,6%) ha riferito il desiderio di stare con altre persone. I partecipanti che hanno riportato il pensiero pessimistico avevano un maggiore disagio correlato all'isolamento (P = .004), oltre all'ansia (P <.001) e alla noia (P = .001). Inoltre, i pazienti che avevano qualcosa da fare durante l'isolamento provavano meno ansia di quelli che non avevano niente da fare (P = .006). Poiché molti pazienti (n = 11/18, 61,1%) hanno utilizzato Internet nella loro vita quotidiana per controllare e-mail, navigare su siti di social network o leggere libri elettronici, quasi la metà del campione (n = 8; 44,4%) ha espresso il desiderio di avere la connessione Wi-Fi all'interno delle loro stanze di degenza ospedaliera. Sebbene la maggior parte dei pazienti praticasse almeno uno sport nella vita quotidiana (n = 12/18; 66,7%), durante il periodo di ospedalizzazione passavano, invece, il tempo in attività sedentarie

Poiché molti pazienti praticano già esercizi fisici nella loro vita quotidiana, dovrebbero mantenersi fisicamente attivi per conservare la forza muscolare e un peso adeguato. A questo proposito, si potrebbe migliorare l'attività fisica dei pazienti grazie all'aiuto della tecnologia: i pazienti potrebbero utilizzare i giochi di allenamento e fitness sulle console per videogiochi, tramite tablet o smartphone per diminuire la sedentarietà. Inoltre, la tecnologia in questione si è dimostrata efficace per affrontare l'isolamento e la noia. Infine, molti pazienti potrebbero trarre beneficio da un supporto psicologico al fine di migliorare il disagio connesso all'isolamento e convogliare i pensieri verso obiettivi più ottimistici.

In conclusione, il “take home message” è essenzialmente quello di garantire il trattamento migliore al paziente, attraverso una visione olistica. Quindi, ogni reparto di Ematologia e Centro Trapianti dovrebbe supportare i pazienti in isolamento protettivo, consentendo loro di trascorrere più tempo con parenti e amici. I dati scientifici hanno dimostrato che il contatto personale è una delle migliori strategie per far fronte al disagio e all'isolamento. Inoltre ogni reparto dovrebbe fornire ai pazienti opportunità ricreative, tra cui la TV, la connessione Wi-Fi adeguata, percorsi di svago, riabilitativi o di mantenimento delle funzionalità fisiche.