IL TRAPIANTO ALLOGENICO NEL MIELOMA MULTIPLO NON E’ “MORTO”!
Anche se il trapianto allogenico non è una terapia standard nel mieloma multiplo, un recente studio retrospettivo del registro Eurocord/EBMT riporta la fattibilità del trapianto da cordone ombelicale in 95 pazienti con mieloma multiplo avanzato, suggerendo che la graft-versus-myeloma rimane un’arma terapeutica di cui considerare l’impiego in paziente selezionati
Paviglianiti A, et al. Haematologica. 2016 [Epub ahead of print]
Il ruolo del trapianto allogenico nel mieloma multiplo (MM) non è standardizzato (1). Alcuni studi randomizzati che nei pazienti di nuova diagnosi hanno confrontato il doppio autotrapianto con un trapianto autologo seguito da un trapianto non mieloablativo da donatore HLA-identico (familiare e da registro) hanno dato risultati discordanti. Nei pazienti ricaduti non ci sono studi comparativi e prospettici, il dato più importante che emerge dagli studi retrospettivi è l’alta incidenza di ricadute post-trapianto. Tuttavia la maggior parte degli studi pubblicati hanno importanti limiti: 1) il trapianto allogenico non viene integrato con i nuovi farmaci, né prima né dopo il trapianto 2) ci sono pochissimi dati sull’efficacia del trapianto allogenico nei pazienti ad alto rischio citogenetico (delezione 17, traslocazioni che coinvolgono il cromosoma 14). Questi limiti fanno sì che i risultati degli studi già pubblicati ci danno poche indicazioni utili su come comportarci nella pratica clinica attuale.
Lo studio pubblicato da Paviglianiti et al. su Hematologica 2016 è uno studio osservazionale retrospettivo dal registro Eurocord/EBMT che riporta l’outcome di 95 pazienti che hanno ricevuto un trapianto allogenico alternativo da cordone ombelicale nel periodo 2001-2013.
Si tratta di 85 MM e 10 leucemie plasmacellulari, di età mediana di 53 anni, quasi tutti avevano già ricevuto un singolo o doppio autotrapianto, il 92% era già stato trattato con nuovi farmaci, il 14% aveva una citogenetica ad alto rischio. Nel 82% dei pazienti il condizionamento al trapianto era a ridotta intensità (nel 64% ciclofosfamide+fludarabina+ TBI 2-6 Gy), il siero antilinfocitario ATG è stato utilizzato nel 24% dei casi, 62% dei pazienti hanno ricevuto un doppio cordone ombelicale e 38% una singola unità cordonale, con un numero mediano di TNC alla reinfusione di 3,3 x 107/Kg. Solo per 3 pazienti è nota una terapia di mantenimento con lenalidomide dopo trapianto.
L’incidenza cumulativa di recupero dei neutrofili a 60 giorni è stata del 97±3% , con una mediana di attecchimento di 20 giorni. Sono segnalati 7 su 95 casi di graft failure, alcuni dei quali recuperati da seconde reinfusioni anche autologhe. L’incidenza della GVHD acuta è 41% ( grado III+IV 16%) e quella della GVHD cronica 22% (solo 5 casi sviluppano una forma estesa). La mortalità da trapianto (TRM) a 3 anni è del 29% e la causa prevalente di TRM sono le infezioni. L’outcome a 3 anni è il seguente: incidenza di ricaduta 29%, PFS 24%, OS 40%. Questi dati sono sovrapponibili (e anche un po’ migliori) rispetto a quanto riportato dall’EBMT in un’analisi retrospettiva sull’outcome dopo trapianto da donatore familiare e da registro (2). L’analisi multivariata dei fattori per l’outcome evidenza che l’uso dell’ATG aumenta la TRM e riduce l’OS, mentre la citogenetica ad alto rischio condiziona un rischio di ricaduta maggiore e una OS significativamente inferiore.
La conclusione più immediata dello studio è che il trapianto allogenico alternativo, utilizzando cordone ombelicale, è fattibile nel MM con risultati non inferiori alle altre fonti di cellule staminali. Non è utile incorporare l’ATG nella profilassi immunosoppressiva, mentre bisognerebbe prevedere una terapia di consolidamento/mantenimento post-trapianto per ridurre il rischio di ricaduta. Questo studio, inoltre, mantiene vivo l’interesse sulla graft-versus-myeloma del trapianto allogenico, che dovrebbe essere considerata nell’iter terapeutico di pazienti selezionati, che rientrano in una categoria definita di ultra high-risk (3), con probabilità di OS inferiore a 2 anni anche con i regimi terapeutici sequenziali con nuovi farmaci