CITOPENIE POST TRAPIANTO ALLOGENICO DI CELLULE STAMINALI: QUALI, PERCHÉ e COME

Le citopenie post trapianto allogenico di cellule staminali (HSCT) sono un’evenienza frequente e non sempre chiaramente spiegata e compresa.

Le cause più frequenti e banali sono legate alla fase di aplasia indotta di regime di condizionamento e alla recidiva della malattia di base, ma queste non saranno oggetto di questo articolo, anche se vanno sempre considerate in caso di citopenia post HSCT (in particolare, la diagnosi di tutte le altre cause di aplasia prevede sempre l’esclusione della recidiva della malattia di base).

Prabahran et al: Clinical features, pathophysiology, and therapy of poor graft function post-allogeneic stem cell transplantation. Blood Adv 2022 Mar 22;6(6):1947-1959.

Prabahran et al: Non-relapse cytopenias following allogeneic stem cell transplantation, a case based review. Bone marrow Transplant 2022 Oct;57(10):1489-1499.

Inauguriamo un nuovo approccio alla revisione della letteratura.

Talora un esperto del settore fara' il punto su argomenti "grigi", che non sempre si basano su una solida evidenza clinica, ma che tuttavia hanno un certo impatto sulla quotidiana attività clinica.

Oggi è la volta di una bella revisione delle citopenie post trapianto allogenico

Citopenia post-infezioni e iatrogene

Una prima causa importante di citopenia post-HSCT è rappresentata dalle infezioni, in particolare quelle virali. Tra le infezioni virali quelle che più frequentemente causano citopenia sono: citomegalovirus (CMV), ebstein-barr virus e human herpes virus 6 e 8 sono da considerarsi nella diagnosi differenziale. Il CMV in particolare rappresenta una sfida diagnostica interessante in quanto non solo l’infezione ma anche la terapia per il CMV si può associare a citopenia. Le citopenie farmaco-indotte sono un’altra evenienza facilmente identificabile, tra i farmaci potenzialmente coinvolti oltre al ganciclovir per il trattamento del CMV appena menzionato, meritano di essere citati il micofenolato mofetile (in alcuni schemi parte della terapia immunosoppressiva di profilassi della graft-versus-host disease, GVHD), il cotrimossazolo usato per prevenire le infezioni da pneumocystis e molti antibiotici usati in terapia.

Citopenie post-complicanze da HSCT

Esistono delle complicanze post-HSCT peculiari che possono indurre citopenia, e che vanno poste in diagnosi differenziale di fronte ad una citopenia di ndd.

  • Microangiopatia trombotica trapianto-associata:

Insorge tipicamente nel primo periodo post-trapianto. L’eziologia è associata ad un danno endoteliale, verosimilmente indotto da farmaci (inibitori della calcineurina quali ciclosporina e tacrolimus, tra i principali), da GVHD o da infezioni, cui consegue aumentata aggregazione piastrinica a livello dei piccoli vasi con formazione di microtrombi che determinano emolisi di tipo meccanico con conseguente riscontro di schistociti. La citopenia sarà pertanto principalmente a carico delle piastrine e degli eritrociti, l’anemia che ne consegue avrà le caratteristiche tipiche dell’emolisi non immuno-mediata (test di coombs neg) con riscontro allo striscio periferico di frammenti di globuli rossi (schistociti). Di accompagnamento si può riscontrare insufficienza renale, sintomi a carico del sistema nervoso centrale, ipertensione, proteinuria, e possibile coinvolgimento micro-ischemico anche di altri organi quali polmoni e tratto gastroenterico. La terapia si basa sul supporto e, dove possibile, sulla gestione dei farmaci eventualmente responsabili. Più recentemente sono stati impiegati gli inibitori del complemento.

  • Coagulazione intravasale disseminata:

Si tratta di una patologia da consumo, caratterizzata da piastrinopenia, alterazione della coagulazione, a volte anemia. Dal punto di vista clinico possono essere presenti sia problematiche emorragiche (più frequenti) che trombotiche. Nel contesto HSCT, la causa più frequente è una infezione grave e la terapia principale si basa sul trattamento della causa sottostante, oltre a supporto trasfusionale e plasma.

  • Graft-versus-host Disease (GVHD): sia nella sua forma acuta che in quella cronica la malattia da trapianto verso l’ospite si può associare a citopenia, soprattutto sulla linea eritrocitaria e megacariocitica. Il meccanismo eziopatogenetico non è completamente noto, e la diagnosi si basa sul riscontro di GVHD in altre sedi. In particolare la piastrinopenia nella GVHD cronica si associa a prognosi sfavorevole per scarsa risposta alla terapia.

Emolisi da incombatibilità di gruppo AB0

La selezione del donatore nel HSCT avviene tramite la verifica della compatibilità HLA, mentre la compatibilità di gruppo sanguigno viene considerata di secondaria importanza, anche perché, nel caso, il danno può essere minimizzato da procedure semplici di manipolazione del prodotto (de-eritrocitazione e de-plasmatizzazione a seconda del tipo di incompatibilità). Questo però non significa che non possano verificarsi complicanze legate al diverso gruppo AB0 tra paziente e donatore.

L’emolisi acuta scatenata dalle isoagglutinine presenti nel ricevente contro gli eritrociti del donatore (incompatibilità AB0 maggiore) è facilmente evitata dalla procedura di de-eritrocitazione. Invece, può accadere che il persistere di queste isoagglutinine comportino l’insorgenza di aplasia pura della serie rossa che persiste oltre i 60 gg dal trapianto per azione sia contro gli eritrociti maturi di origine del donatore che contro i precursori eritroidi (incidenza circa 30% dei casi). In questo caso la modulazione della terapia immunosoppressiva e la riduzione del titolo di isoagglutinine sono le vie da percorrere, sono inoltre riportate delle esperienza positive con l’impiego di epoietina ricombinante. In attesa della risoluzione si procede ovviamente con il supporto trasfusionale. Per limitare l’insorgenza di aplasia pura della serie rossa in genere si valuta il titolo di isoagglutinine presenti nel paziente pre-HSCT ed in caso di titolo molto elevato vanno considerate le plasmaferesi preventive per abbassarlo.

Nel caso in cui sia invece il donatore ad avere isoagglutinine contro gli eritrociti del ricevente (incompatibilità AB0 minore) è possibile che si verifichi il rilascio di isoagglutinine da parte di linfociti circolanti del donatore dando un’emolisi acuta a circa 5-15 giorni dal trapianto, con un’incidenza pare a circa 10% dei casi. In questo caso il supporto trasfusionale con emazie compatibili con quelle del donatore ed il supporto idroelettrolitico sono gli elementi terapeutici chiave

Citopenie autoimmuni

Le citopenie autoimmuni post-HSCT sono piuttosto simili alle patologie ematologiche che si manifestano al di fuori dell’ambito trapiantologico. La loro incidenza nel post HSCT è piuttosto bassa, soprattutto nella popolazione adulta (circa 3%). L’eziopatogenesi non è del tutto chiara, normalmente si verificano in condizioni di chimerismo completo, pertanto è verosimile che si tratti di una reazione disimmune delle cellule del donatore contro le cellule ematopoietiche. Dal punto di vista diagnostico, le anemie autoimmuni si accompagnano ai segni di emolisi e a positività per il test di coombs, le piastrinopenie e le neutropenie possono accompagnarsi a positività per gli anticorpi autoimmuni, ma si tratta spesso di una diagnosi di esclusione. Rispetto alle forme “classiche”, le patologie autoimmuni post HSCT sono meno responsive alla terapia con steroide, in alternativa il rituximab può essere una valida opzione, ma si associano ad aumento della mortalità non dovuta a recidiva della malattia di base.

Graft failure e graft rejection

Recentemente, le società europea (EBMT) ed americana (ASCT) di HSCT hanno messo un po’ di chiarezza di fronte a questi scenari clinici, se pur con piccole differenze nella definizione di ciascun quadro.

La graft failure (letteralmente fallimento del trapianto) viene definita da EBMT come neutrofili <0.5 x10^9/L, Hb <80 g/L e piastrine <20 x10^9/L al giorno 28 nel caso di trapianto da cellule staminali periferiche o midollari e al giorno 42 nel caso di trapianto da cellule cordonali. La definizione di graft failure secondaria prevede la presenza di neutrofili <0.5 x10^9/L, dopo precedente attecchimento, in assenza di recidiva infezioni o tossicità da farmaci. La graft rejection (rigetto del trapianto) si verifica quando la graft failure si associa ad assenza (<5%) di cellule di origine del donatore.

I fattori di rischio noti per la graft failure con rigetto del trapianto sono:

  • diagnosi di mielodisplasia o mielofibrosi: per la presenza di danno del microambiente ed elevata concentrazione di citochine, inoltre queste patologie spesso arrivano al trapianto con poca terapia citotossica precedente, quindi il sistema immunitario del ricevente è ancora relativamente poco compromesso e quindi in grado di generare una reazione rapida contro le cellule infuse
  • leucemia con malattia attiva
  • compatibilità HLA non completa
  • presenza, nel ricevente, di anticorpi contro antigeni presenti su HLA del donatore

La graft failure si associa purtroppo ad una elevata mortalità da trapianto (non preceduta da recidiva di malattia), e la principale causa di morte è rappresentata dalle infezioni. L’unica valida terapia, soprattutto in caso di concomitante rigetto, è quella di procedere con un secondo trapianto allogenico. Nel caso di chimerismo misto le opzioni terapeutiche sono molto più incerte e includono: l’infusione di linfociti del donatore, di cellule CD34 pos selezionate, o l’uso di trompoboietina mimetica, ma nessuna di queste con un’evidenza di efficacia scientificamente provata.

Poor graft function

La poor graft function (PGF) è simile alle entità precedentemente descritte e si caratterizza per la presenza di citopenia senza causa evidente ma con chimerismo del donatore completo (>95%). In base alla definizione EBMT si parla di PGF quando, dopo il giorno 28. è presente una citopenia coinvolgente 2 o 3 linee, che si prolunga oltre le 2 settimane, con chimerismo completo e ovviamente in assenza di altre cause. La reale incidenza della PGF non è ancora chiara, ma varia dal 5 al 27%, il range di incidenza è così ampio in quanto fino a poco tempo fa non era chiara la distinzione tra PGF e graft-failure, pertanto i due quadri venivano spesso confusi. Anche la fisiopatologia della PGF non è ancora completamente compresa, è verosimilmente multifattoriale ed è influenzata da:

  • cellule staminali infuse: origine (sangue cordonale vs altre fonti), ridotta quantità, dubbio ruolo della criopreservazione, possibili disfunzioni intrinseche delle cellule infuse
  • microambiente midollare: lo stroma include cellule non ematologiche (mesenchimali ed endoteliali) che se disfunzionali alterani il rilascio di citochine e di radicali liberi dell’ossigeno
  • fattori immunologici come cellule T e citochine: la GVHD, l’età con conseguente disfunzione timica, le sepsi, le infezioni virali causano alterazioni immunologiche a livello del midollo osseo con aumento dei T helper ad azione effettrice (come Th 17) a sfavore dei T regolatori e conseguente rilascio di citochine proinfiammatorie

Dal punto di vista clinico i pazienti sono spesso trasfusione-dipendenti o con elevata necessità di fattore di crescita (G-CSF) nel caso di neutropenia, senza evidenza di recidiva e con chimerismo completo. Quale sia la terapia migliore per risolvere la PGF non è chiaro, anche a causa della sua genesi multifattoriale.

Alcuni gruppi hanno studiato l’infusione di cellule staminali superselezionate (ovvero prive di altre cellule di accompagnamento come i linfociti T) come approccio terapeutico alla PGF. Il principale limite a questo approccio e la mancanza di una validazione della tecnica e di risultati prospettici. L’idea di implementare le cellule staminali per risolvere una PGF è stata perseguita anche con l’utilizzo di analoghi trombopoietinici (come eltrombopag) sulla base di quanto appreso nelle aplasie midollari. Infatti, l’uso di questi farmaci, inizialmente impiegati nella piastrinopenia autoimmune, è stato esteso alle aplasie midollari per il loro effetto trilineare e non limitato alla stimolazione della megacariocitopoiesi. Nell’ambito della PGF sono stati riportate risposte anche tra il 70 e l’80% ma gli studi pubblicati hanno il limite di essere stati condotti su pochi pazienti o di natura retropsettica.

Per agire sullo stress ossidativo del microambiente sono stati impiegati agenti antiossidanti e cellule mesenchimali. Al momento nessuno dei due approcci ha impieghi clinici su vasta scala.

Per approcciare il ruolo immunologico della patogenesi della PGF, sono stati impiegati infusione di linfociti T regolatori e farmaci come l’antiglobulina linfocitaria (ATG) e anticorpi anti citochine (come anti-interferone). Inoltre il trattamento della causa sottostante, laddove identificata, ha un ruolo nella risoluzione della PGF

In conclusione, la citopenia dopo HSCT ha varie cause, alcune facili da identificare e trattare altre meno conosciute. La ricerca delle cause note è il primo passo diagnostico: recidiva, infezioni, incompatibilità AB0, test di coombs, co-presenza di altre comlicanze. La valutazione del chimerismo è un esame che permette di distinguere i casi di rigetto dalle forme di malfunzionamento del trapianto. Nei prossimi anni avremo un’idea più precisa della reale incidenza della PGF, il cui approccio terapeutico più facilmente riproducibile è l’impiego di trompopoietina mimetici se pur fuori dalle attuali indicazioni.

  • A cura di
    Luisa Giaccone , SS Trapianto allogenico e terapie cellulari - SC Ematologia U Dipartimento di Oncologia Azienda Ospedaliero-Universitaria Città della Salute e della Scienza di Torino
  • Pubblicato
    27 Marzo 2024