La TAM: quando conoscere non equivale a decidere
Vi propongo una pubblicazione che riassume criticamente le novità sulla patogenesi e la terapia della microangiopatia trapianto-correlata (TAM), una rara complicazione ad alta mortalità, di fronte alla quale continua ad essere difficile prendere una decisione clinica.
La microangiopatia trapianto-correlata (TAM) è una condizione clinica caratterizzata da piastrinopenia, anemia emolitica Coombs negativa, presenza di schistociti nel sangue periferico, insufficienza renale, alterazioni neurologiche, che può portare a morte il paziente trapiantato a causa di gravi disfunzioni d’organo. La patogenesi coinvolge il danno endoteliale , ma non è completamente chiarita. Fattori di rischio sono rappresentati da: farmaci del condizionamento, donatori da registro e mismatched, inibitori della calcineurina, GVHD, CMV ed altre infezioni. Secondo alcuni, non si tratterebbe di una “diagnosi specifica”, ma di una manifestazione di altre gravi complicazioni correlate al trapianto, quali GVHD, CMV e graft failure. La gestione della TAM è complessa ed insoddisfacente. Il primo passo è la sospensione o la riduzione degli inibitori della calcineurina, che vengono sostituiti da micofenolato e/o prednisone. Alcuni autori hanno riportato il successo della sostituzione del tacrolimus con ciclosporina e/o sirolimus, anche se entrambi i farmaci sono coinvolti nella genesi della TAM. Comunque, queste modifiche terapeutiche sono da un lato efficaci solo nelle forme lievi, dall’altro sono difficili da applicare in pazienti con GVHD attiva. Il plasmaexchange ha un ruolo molto più limitato nella TAM rispetto alle patologie sorelle (trombocitopenia trombotica trombocitopatica-PTT- e sindrome uremico emolitica-HUS) mentre il rituximab è risultato efficace in due terzi dei casi in piccole serie retrospettive. Gli autori in questa review riassumono le evidenze del coinvolgimento della cascata del complemento, i test diagnostici che si possono utilizzare e i risultati clinici degli inibitori del complemento nella TAM.
Nella TAM vi è evidenza di un’alterata regolazione di entrambe le vie -classica ed alternativa- del complemento. La prima determina consumo di C4, la seconda produce la formazione di anticorpi anti fattore H del complemento (CFH), che a loro volta determinano formazione di C3b e del complesso C5b-9, che sono gli agenti finali del danno endoteliale. Le prove del coinvolgimento di questo meccanismo sono: il basso livello di C3 e l’elevato livello del complesso C5-9 nel sangue periferico e la deposizione di frammenti del complemento nelle biopsie renali di alcuni pazienti con TAM (simili a quanto avviene nei pazienti con HUS), nonché la mutazione di alcuni geni dei fattori del complemento nei riceventi e/o donatori (che spiegherebbe la predisposizione alla TAM). Tra l’altro, questa patogenesi spiegherebbe l’efficacia seppure limitata delle terapie convenzionali, quali il plasmaechange (rimozione degli anticorpi anti CFH) e il rituximab (contro i linfociti B che producono tali anticorpi). Tuttavia, il coinvolgimento della cascata del complemento sopradescritta è il principale razionale per l’utilizzo di eculizumab , un anticorpo monoclonale contro la frazione 5 del complemento (C5). Dopo l’iniziale segnalazione di 24/26 pazienti adulti con TAM trattati con eculizumab e lungosopravviventi a 1 anno, i successivi piccoli studi retrospettivi nella TAM hanno un po’ ridimensionato i risultati clinici ( OS a lungo termine del 30-50%), anche per l’elevata incidenza di infezioni batteriche potenzialmente fatali. Nuovi farmaci che bloccano l’innesco della cascata del complemento, come gli inibitori anche orali del fattore D, l’OMS721, anticorpo monoclonali che blocca la serin-proteasi 2 ed altri inibitori della serin-proteasi 2 , come il TNT003, sono in via di sperimentazione nella TAM e nelle patologie sorelle, PTT ed HUS, anche in studi prospettici.
Se dopo aver studiato il complesso meccanismo del complemento e i suoi inibitori, rimaniamo (comprensibilmente) ancora perplessi di fronte al paziente con TAM, possiamo affidarci all’algoritmo pubblicato in questa review. Se la TAM non è responsiva alla riduzione/sospensione/modifica dell’immunosoppressione e al trattamento specifico di eventuali infezioni concomitanti, l’ algoritmo prevede la scelta tra un trattamento con rituximab oppure con eculizumab. La scelta dell’eculizumab potrebbe essere riservata a pazienti con forma severa di danno d’organo e confermata dal riscontro di proteinuria > 30 mg/dL e dell’aumento dei livelli sierici del complesso C5b-9 oppure destinata ai pazienti in seconda linea, dopo il fallimento del rituximab. La schedula di eculizumab è di 900 mg alla settimana per 4 settimane, poi di 1200 mg ogni 2 settimane, fino a normalizzazione dei segni clinici e di laboratorio, previa vaccinazione anti-meningococcica e prolungata profilassi antibatterica con ciprofloxacina e penicillina. La scelta del farmaco rimane comunque empirica e si basa sulla preferenza del centro (ematologo e farmacista, per l’ovvia differenza di costi dei 2 approcci) e la disponibilità del trattamento.