Le due facce del blocco PD-1 dopo trapianto allogenico
Herbaux et al riportano 95% di risposte (65% persistenti ad un follow-up mediano di 370 giorni) dopo nivolumab in 20 pazienti con linfoma di Hodgkin ricaduto dopo trapianto allogenico , con sviluppo concomitante di GVHD acuta nel 30% dei pazienti.
Il nivolumab, capostipite degli anticorpi monoclonali che bloccano la proteina PD-1 (programmed cell death) è un’opzione di trattamento nei pazienti con linfoma di Hodgkin ricaduto-refrattario, tanto che il trattamento è stato approvato dalla FDA (ente regolatorio degli USA) e dall’EMA (ente regolatorio europeo). Il blocco PD-1, interferendo con la risposta immunitaria, potrebbe teoricamente aumentare il rischio di GVHD acuta e cronica nei pazienti che iniziano un trattamento con inibitori del PD-1 per una ricaduta dopo trapianto allogenico, come si è evidenziato in modelli murini ed è stato riportato in letteratura in alcuni pazienti, ma il reale rischio di GVHD in corso di trattamento con nivolumab è al momento ignoto. E’ questa la domanda a cui cerca di rispondere questo studio multicentrico retrospettivo che raccoglie l’esperienza francese del trattamento con nivolumab in 20 pazienti con linfoma di Hodgkin ricaduto dopo trapianto allogenico
Si tratta di 20 giovani pazienti con linfoma di Hodgkin sottoposti ad una mediana di 7 linee di terapia e che hanno ricevuto un trapianto allogenico da diversi tipi di donatori (comprensivi anche di un trapianto aploidentico e 3 cordoni ombelicali) e che iniziano un trattamento con nivolumab a causa di una ricaduta post-trapianto ad una mediana di 23 mesi dal precedente trapianto allogenico. La dose del farmaco è quella abituale di 3 mg/kg ogni 2 settimane e prima di iniziare il trattamento tutti i pazienti sospendono gli immunosoppressori, compreso i 4 pazienti con una GVHD cronica lieve-moderata. Sei su 20 pazienti(30%) sviluppano una GVHD acuta e sono costretti a sospendere il trattamento dopo la prima somministrazione di nivolumab. Tutti i 6 pazienti avevano presentato una precedente storia di GVHD acuta dopo il trapianto allogenico. Di questi 6 pazienti, 2 rispondono al trattamento standard di 2 mg/kg di 6 metl-prednisolone, 3 pazienti sono resistenti alla terapia di prima linea, l’ultimo caso decede rapidamente per tossicità multi-organo, per cui complessivamente si registrano 2 decessi per complicanze della GVHD acuta. Non si evidenziano invece peggioramenti della GVHD cronica o altre significative complicanze, eccetto la tossicità ematologica ed 1 caso di tossicità cerebellare reversibile. Per quanto riguarda la risposta alla terapia, 95% dei pazienti rispondono, con 42% risposte complete e 65% risposte persistenti ad un follow-up mediano ancora molto breve di 370 giorni. Da notare che 6 pazienti (30%) sono in risposta, malgrado la sospensione del trattamento con nivolumab
E’ un piccolo studio retrospettivo con breve follow-up, ma di grande attualità, perché il nivolumab, che attende l’approvazione AIFA nel linfoma di Hodgkin ricaduto-refrattario, potrebbe in futuro essere un’ opzione terapeutica importante in pazienti ricaduti dopo trapianto allogenico, le cui attuali alternative terapeutiche comprendono l’infusione dei linfociti del donatore (DLI) da soli o in associazione a bendamustina oppure a brentuximab. La conclusione che possiamo trarre dai dati sopra-riportati, in attesa di studi su un numero maggiore di pazienti, è che i pazienti che iniziano trattamento con nivolumab, soprattutto se hanno riportato una GVHD acuta dopo il trapianto allogenico, devono essere attentamente monitorati dal medico esperto in trapianti per lo sviluppo della GVHD acuta, che è in genere precoce ( la settimana seguente all’inizio del trattamento) e che può necessitare anche di una terapia immunosoppressiva di seconda linea nei paziente che falliscono il cortisone. Studi ulteriori sono necessari per definire la sicurezza di nivolumab in preparazione al trapianto allogenico (bridge to transplant) e per approfondire il meccanismo immunologico che in certi casi può favorire la GVHD.